Prato in provincia di Prato Toscana
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Comune di Prato

provincia di Prato

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PRATO

Il territorio del comune di Prato si estende per 97,59 kmq, in pianura, nella Vai di Bisenzio. Dominio feudale, poi libero comune suddiviso in circoscrizioni urbane dette ottavi (porta San Giovanni, porta Travaglio, porta Gualdi mare, porta Fuia, porta Santa Trinita, porta a Corte, porta Capo di Ponte, porta Tiezi) e in quartieri (Santo Stefano, Santa Maria, Santa Trinita, San Marco), Prato - che dal 1863 ebbe la denominazione ufficiale di "Prato in Toscana" per poi tornare ad essere definito semplicemente Prato nel 1931 - ha raggiunto l'assetto territoriale attuale nel 1949, quando gli furono staccate le frazioni di Vaiano e Solignano, che divennero comune autonomo con la denominazione Vaiano. Pare accertato che nell'area di Prato vi fosse in antico un insediamento prima ligure, poi etrusco (VII-V sec. a. C.) e infine il cosiddetto pagus Cornìus romano e che l'abitato sia stato distrutto nel VI secolo d. C. durante la guerra grecogotica Passa molto tempo e Prato si riaffaccia alla storia nel X secolo, quando risulta organizzato in due distinti nuclei: il castello dei conti Alberti e il Borgo al Cornio, sviluppatosi intorno alla pieve di Santo Stefano. Nella seconda metà dell'XI secolo, per il notevole afflusso di immigrati dalle campagne vicine, l'abitato si è esteso costituendo ormai un corpo unico, è cinto di mura e gli Alberti sono definiti conti di Prato per investitura imperiale; la potenza di questa schiatta è tale che Matilde di Toscana e i suoi alleati secondo le fonti cronistiche assediano e radono al suolo Prato nel 1107. Probabilmente distruggono le mura, ma il centro abitato sopravvive giacché nel 1142 abbiamo la prima menzione dei consoli del comune, organismo che sorge in funzione antagonistica nei confronti delle autorità del luogo, gli Alberti ti quali finiranno col cedere i loro diritti comitali all'imperatore nella seconda metà del XII secolo) e il vescovo di Pistoia; intanto, tra la fine del XII secolo e l'inizio del XIII viene edificata una nuova cerchia di mura con un perimetro di circa 1700 metri. Dopo una fase nella quale si alternano ai consoli alla guida del comune podestà locali e forestieri, dal 1224 l'istituzione podestarile è stabile e Prato conosce in questi anni accanite lotte di fazione tra guelfi e ghibellini. Filo-sveva nel quarto e nel quinto decennio del Due- cento - quando Federico d'Antiochia, figlio di Federico ti e suo vicario in Toscana, fa edificare il castello detto "dell'imperatore"-, dal 1252 è retta da un primo governo di popolo, dal 1260 al 1267 da un governo ghibellino, poi da un regime guelfo; nel 1285 si instaura il nuovo regime degli Otto difensori, con governi composti solo da popolani che nel settembre 1292 promulgano una raccolta di disposizioni (gli Ordinamenti Sacrati) tendenti a discriminare i magnati, cioè gli esponenti del tradizionale patriziato cittadino. Alle soglie del Trecento, Prato può vantarsi di essere riuscito nel volgere di un secolo e mezzo a conquistarsi ex novo notevoli spazi di autonomia rispetto alle sovrastanti vicine Pistoia e Firenze (dalla scia di quest'ultima comunque raramente si è distaccato quanto a scelte politiche), dispone di un piccolo distretto, possiede un numero di abitanti superiore a quelle delle "antiche" Pistoia e Arezzo, ha una classe dirigente costituita da una larga e agguerrita rappresentanza dei ceti produttivi e in questo periodo realizza alcune delle sue più significative pere architettoniche, dai palazzi del potere laico alle chiese di San Francesco e San Domenico, alle piazze della pieve e del Mercatale. Ora però Firenze pare non accontentarsi più di avere Prato come alleato e tende all'annessione, costringendolo a lunghi periodi di protettorato, per affrancarsi dai quali i governanti pratesi prima offrono la signoria a Roberto d'Angiò (dal 1313 al 1319) e poi - quando i guelfi toscani sono impegnati in un decisivo scontro con Castruccio Castracani signore di Lucca e di Pistoia - dal 1327 danno al principe angiomo Carlo la signoria perpetua, estesa anche ai suoi discendenti. La morte prematura di Carlo (1328) e la lontananza e lo scarso interesse dei di lui eredi fanno sì che si tratti in realtà di un mediocre rimedio, che non libera Prato dalla minaccia fiorentina. Nel 1343 una famiglia magnatizia pratese, i Guazzalotti, conquista di fatto il potere, con l'indispensabile consenso dei fiorentini; nel luglio 1330, però, Firenze occupa militarmente Prato, caccia i Guazzalotti e, per salvare la forma e i buoni rapporti con gli angiomi, acquista nel 1351 la terra pratese elargendo 17.500 fiorini alla regina Giovanna di Napoli. Da allora pur conservando una certa autonomia amministrativa, Prato segue le sorti del capoluogo toscano, senza rilevanti moti di insofferenza (se si eccettuano i tentativi di riconquista di Iacopo Guazzalotti dal 1351 al 1353, e una rivolta antimedicea nel 1470), ma certo condannata ormai a una condizione di subalternità che diverrà pesante soprattutto a partire dalla fine del XV secolo. Nel 1384 è compiuto il lungo lavoro dell'ultima cerchia muraria (4500 metri di perimetro), che ingloba larghissimi spazi verdi giacché anche Prato ha subito in questi decenni un radicale ridimensionamento demografico. Nel 1512 subisce un saccheggio di inaudita ferocia delle truppe spagnole venute per restaurare la spodestata signoria medicea. Nel 1653, riuscendo a ottenere solo in parte un obiettivo ambito da secoli, Prato è designata diocesi in unione (e a parità di grado) con Pistoia, anche se il vescovo continuerà a risiedere pressoché sempre nell'altra sede: ciò consente comunque al granduca Ferdinando II di concederle il titolo di città. Se nel XVI e nel XVII secolo Prato vive torpidamente, già nel Settecento cominciano a delinearsi i presupposti della moderna città, con la crescita economica, culturale e politica della nuova classe borghese, protagonista dello sviluppo ottocentesco. Di questi fermenti sono a loro modo prova anche l'acceso dibattito che divise la città e innescò i moti del maggio 1787 contro le riforme ecclesiastiche volute dal vescovo Scipione dei Ricci e le crescenti fortune del collegio Cicognini, avviato ad essere una delle più prestigiose scuole italiane. Il XIX secolo si apre dunque con favorevoli prospettive, sulle quali scarsa è tutto sommato l'incidenza degli eventi politici, sia durante il periodo del governo francese, sia nella successiva fase della restaurazione lorenese, alla quale va comunque ascritto il merito di aver incentivato le manifatture e i traffici. Ciò nonostante Prato partecipa attivamente al movimento per l'unità italiana, con una nutrita schiera di patrioti, tra i quali come capifila si segnalano Piero Cironi e Giuseppe Mazzoni, uno dei triumviri nel governo provvisorio toscano del 1848. Dopo l'unità si alternano alla guida del comune amministrazioni moderate ad altre radical - democratiche, tenendo accesa una dialettica politica locale abbastanza vivace, acuita poi dal fatto che essendo Prato in pieno sviluppo industriale e caratterizzato dalla presenza di una sempre più estesa classe operaia, fra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento si svolgono i primi grandi scioperi dei lavoratori tessili; nel 1919, alle prime elezioni a suffragio universale il Partito socialista ebbe il 63% dei voti e il Partito popolare il 22%. Ciò non impedì peraltro pochi anni dopo una celere fascistizzazione della città, ma rimasero anche nuclei di oppositori al regime che seppero poi fornire un valido contributo alla lotta clandestina e alla Liberazione, che avvenne il 5 settembre 1944 per l'intervento prima delle formazioni partigiane che delle truppe alleate. Nel dopoguerra, dal 1948 caratterizzato da un'ininterrotta serie di amministrazioni comunali di sinistra, superata in breve tempo la fase della ricostruzione per i danni bellici che avevano fortemente danneggiato edifici e macchinari, la fisionomia socio-economica di Prato si è ulteriormente accentuata, e in conseguenza delle fortune industriali (che pure hanno alternato periodi di grande espansione a fasi di congiuntura negativa) si è dilatato il numero degli abitanti tramite flussi migratori dai paesi vicini e soprattutto dal meridione; mentre la città si allargava con la costruzione di numerosi quartieri periferici, si compivano nel contempo nel centro cittadino una serie di interventi di restauro, di riqualificazione e di arredo urbano. E forse anche motivata dalla voglia di smentire nei fatti l'immagine di una città dedita solo al lavoro materiale e al guadagno, Prato si è segnalata nell'ultimo trentennio per una serie di iniziative e manifestazioni che l'hanno qualificata anche come centro culturale di livello internazionale. Tra gli uomini illustri nati a Prato si ricordano il cardinale Niccolò Albertini da Prato, autorevole politico del suo tempo ma inascoltato paciere in patria (m. 1321); Ugo Panziera, teologo e missionario francescano (m. 1322); Paolo dell'Abbaco, matematico (1281 ca.-1365 ca.); Convenevole da Prato, grammatico, maestro del Petrarca (sec. XIV); Jacopo di Zarino Guazzalotti, cavaliere (sec. XIV); il mercante per antonomasia Francesco di Marco Datini (1335 ca.-1410) e il suo amico notaio ser Lapo Mazzei (m. 1412); il letterato e architetto Giovanni Gherardi (1367-1444); il pittore Filippino Lippi (1457-1504); Cesare Guasti, archivista e storico (1822-1888); il drammaturgo Sem Benelli (1877- 1949); lo scrittore Curzio Malaparte (1898-1957). Accennare alle risorse economiche nel passato è un po' celebrare la secolare storia dell'intraprendenza e dell'operosità pratese. Nel centro medievale e nei dintorni insieme a un'agricoltura abbastanza ferace nei terreni di pianura, nota soprattutto per la produzione cerealicola, e alle attività artigianali e professionali consuete in ogni agglomerato urbano, va segnalata la precocità con la quale, almeno a partire dal XII secolo, risulta operante la lavorazione della lana. Progressivamente sviluppatisi fino a far divenire Prato un centro di produzione tessile d'importanza extraregionale, l'industria e il commercio dei panni, con le attività finanziarie ad esso connesse, ricevettero grande impulso dal più illustre e caratteristico cittadino pratese, il mercante Francesco Datini (che comunque non fu il solo uomo d'affari di Prato tra Trecento e Quattrocento attivo nelle principali piazze d'Europa). La produzione tessile conobbe poi un periodo di stasi nei primi secoli dell'epoca moderna, ma essa rifiorì quando Vincenzo Mazzoni e Giovacchino Pacchiani iniziarono nel 1788 la fabbricazione dei cappelli alla levantina, dopo pochi anni esportati in tutta Europa. Nei primi decenni dell'Ottocento ebbe inizio la meccanizzazione dell'industria e nella seconda metà dell'Ottocento si sviluppò la tipica attività locale della fabbricazione della lana rigenerata, ricavata dai residuati tessili: nel 1870 Pietro Romei impiantava i primi telai meccanici e nel 1888 veniva inaugurato il "Fabbrico- ne". Tra le altre attività in auge nell'Ottocento devono essere ricordate le fabbriche di cappelli di paglia, le cartiere, le vetrerie, le ramerie, le concerie di pelli, mentre nella vicina frazione di Figline vi erano cave di granitone da macine e fabbriche di terraglie; di rilievo era inoltre l'attività tipografica. Ma i crescenti successi dell'attività tessile fecero sì che a partire dall'inizio del Novecento ci si orientasse quasi esclusivamente verso questo campo. Se nel censimento del 1911 la piccola Prato è la sesta città toscana come numero di addetti (5.685) nel settore industriale, nel 1927 è preceduta solo da Firenze e Livorno contando già 12.589 addetti. Si giova, negli anni immediatamente seguenti, della costruzione della ferrovia direttissima Firenze-Bologna (ultimata nel 1929 e inaugurata con la nuova stazione nel 1934) e dell'edificazione dell'autostrada Firenze-mare (il primo tratto entra in funzione nel 1932) e continua nel suo sviluppo, interrotto solo in conseguenza degli eventi bellici. Nel censimento del 1951 comunque ben il 64% della sua popolazione attiva lavora nell'industria, La crisi che si delinea proprio sul finire di quell'anno viene risolta con la riconversione di una grande quantità di operai delle fabbriche in piccoli imprenditori di aziende a base familiare, divenuti da allora il singolare elemento distintivo dell `industria pratese contemporanea, frazionata in una grande quantità di medie e piccole aziende; nel 1961 i lavoratori dell'industria erano quasi il 72% della popolazione attiva, e nel 1971 il 70%, contando oltre 40.000 addetti nel settore tessile e concorrendo per il 75% all'intera esportazione laniera italiana, con la produzione di una estesa gamma di stoffe cardate, di pettinati e di filati, per il cui ciclo di produzione coinvolge anche numerosi comuni limitrofi. Altre imprese industriali presenti in questa fase di massima espansione sono nei settori metalmeccanico (in particolare meccanotessile), chimico, alimentare, del legno, della plastica, dei materiali edilizi dell'abbigliamento. Poi negli anni ottanta si vive un periodo di notevole crisi del tessile, cosicché la produzione risulta segnare in questo decennio rispetto al precedente un decremento del 20%, con conseguenze gravi per l'occupazione, anche se attutite dalla crescita del terziario; per rimanere competitivi sui mercati mondiali si cerca ora di puntare sulla qualità del prodotto, investendo nella ricerca e in un'adeguata formazione professionale degli addetti. La popolazione totale del territorio comunale raggiunge, nel 1991, le 165.707 unità con una densità di 1.698 abitanti per kmq. Nel passato la popolazione, valutata da Enrico Fiumi a 18.249 unità nel 1339, era decresciuta nel 1372 a 12.240 per scendere ancora nel 1428 a 8.240 unità; A questo momento la crescita e costante: 15.433 abitanti nel 1551, 19.307 nel 1745, 27.262 nel 1830, 39.123 nel 1881, 63.764 nel 1936. Nel 1951 Prato contava 77.631 abitanti, che salivano a 111.285 nel 1961, a 143.232 nel 1971 e a 160.220 nel 1981.

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